Come le onde

In uno dei racconti di Calvino, il signor Palomar si dedica all’impresa impossibile di definire le onde del mare: con il suo occhio analitico le scruta alla ricerca del punto in cui cominciano esattamente, di come s’innalzano e si avvolgono su se stesse, di dove si accavallano alle altre per poi unirsi a loro, di dove si esauriscono. Quale tra i singoli getti di spuma che le compongono segna il confine esatto, il passaggio dall’una all’altra? E dove si disperdono i loro rivoli dopo che si sono infrante sulla battigia?

Seduta in riva al mare, nella calma del primo pomeriggio, anch’io osservo le onde, e penso che forse, invece di aguzzare la vista e l’ingegno per stabilirne i confini, vale la pena considerarle nel loro insieme. È infatti nel loro incontrarsi, intrecciarsi, accavallarsi, sovrapporsi, separarsi per poi riunirsi che sta la loro forza e il loro fascino. Il loro mistero.

(foto: Giovanna T.)

Anche le nostre vite di umani, le vedo come onde che si formano, si gonfiano, si rincorrono, s’incontrano, si sovrappongono, si separano, s’alzano verso il cielo, si congiungono. A ben guardare, c’è qualcosa che le unisce, tutte.

L’altro ieri ho trascorso la giornata con Daniela F. Non la vedevo da quattordici anni, dal giorno del mio matrimonio. Daniela abita a Modena con suo marito e due splendidi figli.

Il legame che ci unisce è Cristina, mia sorella e sua carissima amica. È senz’altro anche la sua assenza – e la sua presenza – che ci ha fatto incontrare, ritrovare, che le ha fatto mantenere una promessa di quelle che tante volte si fanno e non si mantengono: “Ti vengo a trovare.”. L’ha fatta salire in macchina e, insieme a suo marito, percorrere in una calda giornata di fine luglio la strada da Modena a Lido di Savio.

E, divorando quei chilometri, ci ha riavvicinato in modo intenso e singolare.

Sette ore ininterrotte di parole, racconti, ricordi, riflessioni, domande, ipotesi di risposte, supposizioni… Ci siamo dette tutto. Con una sincerità, un’apertura, un’urgenza e una naturalezza rare e preziose. Con entusiasmo. Dipanando una matassa multicolore, accompagnate dal mormorio quieto delle onde.

(foto: Giovanna T.)

E, se questo era in parte anche dovuto al fatto che ciascuna di noi vedeva nell’altra anche un’eco della persona che ci accomuna, tuttavia, negli echi e nei riflessi, era noi che rivelavamo l’una all’altra.

Non ripeterò qui quello ci siamo dette. Tante cose sono personali. Vorrei però riportare due riflessioni che ancora mi accompagnano.

La prima. Nel mondo che ci circonda tutto è segno. Segno di altro: un accadimento, un incontro, un imprevisto possono essere segni di qualcosa che va ripensato, di una decisione da prendere, di un cammino da intraprendere. Il visibile è segno dell’invisibile. Sta a noi vederli e riconoscerli, questi segni. Tanti li ignoriamo, alcuni invece li cogliamo e tra questi, soltanto pochi li sappiamo ricondurre a unità, a simbolo, due pezzi di una moneta, di un ciondolo che si ricompongono.

Per riconoscere i segni dobbiamo guardarci intorno con attenzione. Dobbiamo cercarli. Dobbiamo interrogarci. Porci domande che spesso non hanno risposta. Siamo destinati a cercare. Ma chi cerca, trova?

La seconda. Il nostro atteggiamento verso la vita è spesso questione di prospettiva. Anche riconoscere i segni dipende dalla prospettiva. Racconta Cuore d’Orso, lo sciamano indiano, che un uomo che lui aveva accompagnato nella ricerca della visione, era tornato da quattro giorni di digiuno e meditazione nella natura deluso e scoraggiato. Aveva riempito quaderni di riflessioni e disegni, ma la visione, non l’aveva avuta. E per di più, ogni volta che cercava, gli si presentava sempre davanti un filo d’erba. Insignificante, irritante. Finché Cuore d’Orso gli ha aperto gli occhi: era quel filo d’erba, la sua visione!

Anche gli avvenimenti più tragici hanno risvolti inaspettati: “Quella che per il bruco è la fine del mondo, per il mondo è una farfalla”, mi dice Daniela. E mentre me lo dice, fruga col piede nella sabbia e ne estrae una farfalla, un orecchino caduto a un ambulante passato poco prima davanti al nostro ombrellone. È rossa, di plastica, un oggetto comune. Ma a ben guardarla è molto di più. In filigrana rilucono mille farfalle, presenze effimere e misteriose, silenziose e cangianti, dalle ali potenti e leggere, tutte le farfalle incontrate e quelle che incontreremo sul pianeta della vita..

(http://www.vogliaditerra.com/photoblog/archives/2009/08/farfalle-dellerba-medica-iii.html)

Davanti a me le onde si gonfiano appena, s’incurvano, spumeggiano, si toccano, si dissolvono. Si dissolvono? No, non si dissolvono, si rituffano nel mare di cui sono parte. E si riformeranno, ritorneranno…

(foto: Boris P.)

(foto: Marino D.)

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6 risposte a Come le onde

  1. Laura Giorgini ha detto:

    Grandissima Giovanna, riesci a dire quello che non riesco a dire..Grandissima Giovanna!

  2. daniela ha detto:

    Grazie Giovanna, mi sono commossa, perchè anch’io, mentre sono in ufficio oppure a casa a fare
    “delle cose”, non faccio che ripensare al nostro pomeriggio che tu con parole splendide hai saputo
    trasferire e comunicare a chi ti legge.
    Ti voglio bene, un bene vero, solo tuo e mio.
    Daniela

  3. Maria Paola Giorgini ha detto:

    Anch’io, come te, cerco sempre di riconoscere il disegno che le tessere sparse del mosaico andranno a formare, non sempre pare che esse formino un disegno significativo, ma certo è più importante la prospettiva da cui lo si osserva, probabilmente va meglio essere fuori dal gioco, a volte, per vedere meglio. Mi guarderò intorno con ancora più attenzione. Mi è venuto in mente il caleidoscopio: la “visione” è data sia dalle tesserine colorate, dalla posizione che vanno a prendere, dalle sovrapposizioni che formano sullo specchio interno, a seconda del movimento della mano, ma anche dall’occhio che le osserva, dalla luce verso cui si punta il caleidoscopio…
    La visione è sempre instabile, provvisoria, in movimento, ma certo è data da tutte le tessere presenti nel nostro giocattolo, non una di meno!
    Che bello che anche mia sorella ti legga! Un abbraccio dalla tua amica “cuore di pesca”, come mi hai succosamente definita! MP

    • bloggiovi ha detto:

      Carissima,
      è vero, la prospettiva da cui si guarda è parte integrante della visione. E, come scrivi, con la splendida immagine del caleidoscopio (poeticissima e verissima), la visione cambia continuamente, complice la posizione della luce e il nostro intervento. Ieri sera a messa il sacerdote ci ricordava che chi è alla ricerca è sempre in cammino. Meglio ancora in esodo – uscire da se stessi. E chi si affida all’illusione di un sapere raggiunto, di una conoscenza immobile, è fermo (perduto?).
      Dopo tanti anni non possiamo neppure dire di conoscere noi stessi e i nostri intimi “come un libro aperto”: anche le persone sono in continuo cambiamento. Abbiamo questa dote, e assumendocene il rischio rendiamo onore a noi e alla nostra vita.
      Grazie di questa riflessione lirica e succosa, da vero “cuore di pesca”!
      Un abbraccio
      Giovi

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